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Visualizzazione post con etichetta Pest Records. Mostra tutti i post
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venerdì 4 giugno 2021

Damnation - Majesty In Degradation

#PER CHI AMA: Death/Thrash
I Damnation sono una nuova realtà nata nella campagna ungherese. Tra le sue fila János Juhász, ex chitarrista dei Thy Catafalque. 'Majesty In Degradation' il loro debut EP. Non fatevi ingannare dalla presenza di János pensando a strane derive sperimentali, i cinque pezzi contenuti in questo disco infatti sono devoti ad un death roboante che si apre con i riffoni monumentali di "Ziggurat of the Necrocommand" dove accanto alle chitarre pesantissime erette dal duo di asce, si pone anche la voce tra il growl e il graffiante di Ádám Forczek. Peculiarità della proposta del quintetto magiaro? Poche. Vorrei comunque sottolineare la potenza espressa dai cinque musicisti, la buona dose di melodie, le galoppate ritmiche e anche una interessante seppur breve, sezione solistica. Il secondo "The Colossal Dread" ammicca, a livello ritmico, ai primi Morbid Angel e al death metal made in US tanto in voga negli anni '90. Ancora riffoni rocciosi, voce gorgogliante, accelerazioni violentissime (anche dal vago sapore black), una discreta dose di groove e il gioco è fatto. Un pezzo uguale ad un milione di altri brani che popolano il sottobosco metallico. Questo il limite di 'Majesty In Degradation', pensare di riconoscere la band dal proprio DNA è come cercare un ago in un pagliaio. Lo stesso dicasi dei successivi brani: "The Nightmare Realm" ci prova nei primi dieci secondi a cambiare le carte in tavola ma poi si torna nell'anonimato di una ritmica rutilante, salvata da un assolo che ruggisce come nel thrash di anni '80. Troppo breve però per farmi gridare al miracolo. È già tempo infatti di lanciarsi nella più oscura e mid-tempo "Deathmarch", che vive fondamentalmente su un paio di stop'n go. In chiusura, "Dreaming Entropy" e gli ultimi quattro giri di orologio affidati ad deflagrante death metal che poco ha ancora da dire di questi Damnation. La raccomandazione è quella di esibire al più presto un pizzico di personalità, come atteso per musicisti navigati come questi, altrimenti la sufficienza risicata sarà dura da raggiungere la prossima volta. (Francesco Scarci)

sabato 28 novembre 2020

Stromptha - Endura Pleniluniis

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Nasce nella minuscola cittadina di Qaanaaq (656 abitanti), in una delle località più a nord del mondo, questo 'Endura Pleniluniis', secondo atto della creatura Strompth, one-man-band capitanata da J, polistrumentista francese emigrato in Groenlandia per stare a diretto contatto con la natura. Sei i pezzi per provare ad apprezzare la proposta musicale dell'artista di Tolosa che si apre sulle tranquille melodie di "De Sang et de Brouillard", ove un cantato in stile Lacrimosa fa il suo ingresso declamando versi in francese, il tuo avvolto in una atmosfera decisamente dark. La song evolve poi in una porzione decisamente più selvaggia (resa cosi anche da una produzione non proprio cristallina), un black melodico, a tratti furibondo, con la voce di J che si muove tra urla nefaste e un cantato baritonale, con la ritmica che vive sulla scia della medesima alternanza vocale, tra accelerazioni caustiche, parti atmosferiche affidate a grosse infarciture tastieristiche e aperture epiche di scuola Windir. Insomma, c'è un po' di tutto in questi primi dieci minuti che lasciano ben sperare per il proseguio. "Au Bout du Tunnel: La Nuit et la Neige" parte subito tiratissima con lo screaming sostenuto dalle taglienti chitarre e da sinistri e onnipresenti synth in sottofondo. C'è spazio anche per un altro atmosferico rallentamento che spezza quel ritmo sostenuto di inizio brano, ma la song è comunque un susseguirsi di cambi di umore che si riflettono anche in una molteplice sperimentazione vocale. Mi piace per quanto il suono risulti spesso impastato e catramoso eppure ha il suo perchè. Cosi come la successiva " Que les Corbeaux Forgent la Tempête" che si affida ad una lunga apertura ambient prima di volgersi verso una tempesta black (mid-tempo). Quello che forse realmente mi disturba è l'utilizzo della drum-machine che rende più gelido e impersonale il sound, poi devo ammettere che il musicista transalpino se la cava piuttosto bene nel creare spettrali atmosfere che in questo frangente in particolare, hanno un che di desolante e malinconico, come guardare una distesa di ghiacci dal finestrino di un treno in corsa. In "Le Passage Aux Fleurs" emergono ancora echi dei Lacrimosa nella componente vocale mentre il sound lento e ritmato avanza avvolto da un'aura gotica che permarrà per l'intera durata del brano, in quello che verosimilmente rimane l'episodio più pacato dell'album. Ma il disco sembra salire in qualità con le ottime melodie di "Brûle, Prairie de Roses" una song che mostra un lato più maledettamente romantico del musicista francese, che la candida peraltro a pezzo migliore del disco, a braccetto con la conclusiva "Quand le Cornu Moissonera" dove davvero la componente atmosferica si conferma l'elemento predominante di questa traccia con un break acustico da applausi. La sensazione è che questi ultimi pezzi siano stati scritti in un periodo differente dai primi tre e facciano trapelare ulteriori novità per un prossimo futuro. Staremo a sentire, nel frattempo godiamoci l'ascolto di questo 'Endura Pleniluniis', un lavoro che più si ascolta e più darà modo di capire qualcosa di più di questo artista. (Francesco Scarci)

(Pest Records/Satanath Records - 2020)
Voto: 70 

martedì 3 novembre 2020

Command the Machyne - S/t

#PER CHI AMA: Power/Heavy, Iron Maiden
Dalle lande teutoniche arrivano i Command the Machyne, un gruppo heavy/power metal, con un sound che si rifà a gente come Iron Maiden ed Helloween, che ha debuttato quest’anno con l'omonimo album. E questa specie di mix tra Iron ed Helloween la si può notare durante quasi tutte le 11 ottime tracce del disco, con alcune che richiamano maggiormente la band di Bruce Dickinson e compagni, ad esempio "Prisoners of Time", "Kingdoms Prayer" e "River of Life", altre che evocano i power gods tedeschi ("Sarah’s Heart", "Reaper" e "The King"). Le mie tacce preferite rimangono però "Burn’em", che a mio avviso risulta essere la canzone più personale della compagine germanica, una song che contiene un assolo breve ma intenso, la già citata "Sarah’s Heart" con un ritornello molto helloweeniano ed una parte di tastiera/voce a dir poco meravigliosa e infine "Prisoners of Time", la quale presenta ben due assoli i quali, soprattutto il secondo, non possono non rendere di buon umore. Sottolineerei ancora "Prisoner of Time", il cui riff di chitarra si ispira totalmente a quello di tastiera di "Moonchild" e sembra essere uscita da 'Dance of Death' dei Maiden ed infine "River of Life", un brano che sembra essere fatto dagli stessi Iron per quanto sia simile alle loro canzoni e che presenta dapprima un assolo di tastiera che sembra provenire direttamente da un horror e ci preparara a quanto verrà dopo, ossia un assolo di chitarra fulminante, potente e melodico allo stesso tempo. Chiude "Shadows" un brano che mette da parte il power/heavy dei pezzi precedenti e strizza l'occhiolino alle classiche ballate dei Dream Theater. I Command the Machyne con questo debutto si dimostrano un gruppo di ottima qualità, che sa a tratti essere originale e contemporaneamente rimanda alle sonorità di gruppi storici. Sicuramente l’elemento più interessante di quest’album sono gli assoli di chitarra di Machyne ed Ulrich che, fra chi più potente, melodico, infiammante, sono in grado di entusiasmare al massimo e, talvolta, anche di commuovere. L’altro elemento di spicco del disco è l'eccellente voce di Florian Reimann, in grado di emozionare per quel suo lato più dolce ma anche di graffiare, con una vena più pomposa ed incalzante; i fan degli Iron ci sentiranno addirittura il cantato del buon Bruce in alcuni frangenti. Per un gruppo del genere non c’era altro modo per rompere il ghiaccio pertanto, se vi piacciono le loro influenze, compratevi il cd per supportare una band che secondo me merita, ma che potrebbe crescere ulteriormente se dienisse ancor più personale. E chissà se fra qualche anno li potremmo vedere esibirsi a livello internazionale! Per ora non ci resta che attendere e vedere come evolverà il sound di questi Command the Machyne. (MetalJ)

lunedì 14 maggio 2018

Mormânt de Snagov - Depths Below Space and Existence

#PER CHI AMA: Black/Death
Terzo album dal 2010 a oggi per i blacksters finlandesi Mormânt de Snagov, quartetto originario di Turku, messo sotto contratto dalla label rumena Pest Records. Chissà se c'è una qualche correlazione tra il monicker proprio in lingua rumena che sta per "la tomba di Snagov" (dove Snagov è la città rumena che ospita le spoglia di Vlad Tepes) e la scelta dell'etichetta di assoldare questi paladini del black. A parte le mie digressioni mentali, andiamo a commentare questo 'Depths Below Space and Existence', nuovo capitolo di una discografia che vanta anche un paio di split album, un EP e una compilation. Beh, chi come me si aspettava una forma di black originale, date le origini della band, verrà un po' deluso, visto che la proposta dei nostri è in realtà piuttosto convenzionale, con otto brani diretti e veloci che sembrano essere influenzati dal black di stampo svedese (per ciò che concerne linee di chitarra taglienti e screaming vocals), sbecchettato da attacchi di death assai aggressivo di scuola americana (la ritmica in stile Suffocation di "Stories Untold" lo dimostra) e da contaminazioni più sperimentali ("Resist" e la stessa "Stories Untold" nel suo break acustico centrale, ma anche nelle sue schegge impazzite di jazz). Poi il resto del disco scivola su pezzi tipicamente black, con uso e abuso di blast beat, chitarre in tremolo picking, qualche fortunosa variazione al tema, come la doomish "Battle Neverending", il mio pezzo preferito, cosi carica di atmosfere spettrali e la conclusiva "The Roots of Grief", un altro brano in cui le velocità non sono fini a se stesse e che mi danno una visione dei nostri più distaccata dagli stilemi e dai cliché tipici del black made in Sweden. C'è certamente ancora tanto da lavorare, ma idee buone, sparse qua e là nel corso di questo 'Depths Below Space and Existence' ce ne sono, basta solo cercarle con attenzione e assoluta cautela. (Francesco Scarci)

sabato 3 febbraio 2018

Sombre Croisade - Balancier des Âmes

#PER CHI AMA: Swedish Black
Che meraviglia la zona della Vaucluse in Francia, con quei suoi borghi alle pendici delle montagne. Da uno di questi, Bollène, ecco arrivare i blacksters Sombre Croisade, con il nuovo 'Balancier des Âmes', fuori per la Pest Records. Dopo cinque anni di silenzi (a parte uno split datato 2013, in compagnia degli Augure Funébre), l'oscuro duo torna con un nuovo lavoro malato, oscuro, feroce e contorto, insomma in piena tradizione transalpina. Sei i brani a disposizione per definire lo stato di forma di Malsain e Alrinack, i due loschi figuri che stanno dietro ai Sombre Croisade. Si parte con la speditissima "Renaissance", in pieno stile black old school, dove alcuni sperimentalismi folk rimangono relegati in sottofondo, mentre harsh vocals e ritmiche infuocate dominano incontrastate. La title track è un black mid-tempo, in cui roboante è l'architettura affidata alla ritmica, diabolico lo screaming efferato di Alrinack, ma sicuramente melodiche le linee di chitarra che si dilettano nel proporre sonorità ispirata alla scena svedese. "Don Ténébreux" apre con la classica chitarra acustica, prima di divenire più caustica nel proprio incedere mortifero e angosciante che subisce un ulteriore incancrimento nella successiva "Midiane", song altrettanto sinistra ed arrembante, che però ha poco da aggiungere ad un genere, sempre più povero di idee. Si continuerà seguendo questi dettami fino alla conclusiva "Souffles d'Ailleurs", muovendosi lungo i binari di un intransigente e glaciale black metal, consigliato alla fine, solo ai fan più accaniti. (Francesco Scarci) 

(Pest Records - 2017)
Voto: 65