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venerdì 3 novembre 2017

Cold Cell - Those

#PER CHI AMA: Atmospheric Black, Schammasch, Celtic Frost
Dopo aver esordito nel 2013 per la Gravity Entertainment, essere passati per la "nostra" Avantgarde Music con il loro secondo lavoro, gli svizzeri Cold Cell tornano a casa, arruolati dalla Czar of Bullets. Escono ora con il terzo album della discografia, intitolato semplicemente 'Those', un titolo enigmatico quasi quanto la cover del digipack, una cornice su un ritratto spettrale ed inquietante che si riflette nella musica oscura del quintetto di Basilea. Otto le canzoni a disposizione per i nostri per conquistare nuovi fan grazie alla bontà della loro proposta musicale. La compagine confederata propone un black atmosferico, che già dalla opener "Growing Girth" convince non poco per i suoi contenuti, grazie ad un sound tenebroso che chiama in causa per assonanza musicale, i connazionali Schammasch (sarà un caso che due dei membri dei Cold Cell suonino anche in questa band?). È un black mid-tempo quello che risuona nelle casse del mio stereo, dal taglio assai melodico e che sporadicamente vive di accelerazioni post black. La voce di S, che ricorda per impostazione vocale quella di Attila Csihar, si conferma davvero buona nel suo intellegibile screaming. "Entity I" è un pezzo decisamente più breve rispetto alla opening track, ritmato ed epico quanto basta, che sfoggia un break centrale orrorifico; non mi è chiaro però per quale ragione la band l'abbia scelto per farne un video, tre minuti li reputo infatti un po' troppo scarsi. Nel frattempo il disco avanza ed esplode la sua funambolica rabbia post black nella terza "Seize the Whole", che identificherei musicalmente come un mix musicale tra i Wolves in the Throne Room e i Celtic Frost, questi ultimi forse la più palese influenza per i nostri. I suoni sono rarefatti ma incisivi quanto basta, soprattutto nella lunghissima "Tainted Thoughts", dove rilevo un'altra influenza importante per l'ensemble svizzero, i Bethlehem e il loro plumbeo dark sound che riempie una song cruda a livello ritmico, in cui a mettersi in luce è invece una batteria sparata a tutta velocità su degli arpeggi compassati di chitarra che assieme alla voce sempre ispiratissima e a rallentamenti carichi di tensione nella seconda metà del brano, rappresentano il punto di forza di questa release. La registrazione è impeccabile, non fosse altro che alla consolle si è seduto Victor Bullok (Triptykon, Farsot e gli stessi Schammasch): lo dimostra anche l'evocativo sound di "Sleep of Reason", gelida e funerea nel suo incedere liturgico che solo verso il finale evolve in un deflagrante suono primordiale in cui tutti gli strumenti nel loro atavico caos, sono in realtà posizionati chirurgicamente nel migliore dei modi. "Entity II" è un altro breve capitolo, che forse funge da collegamento a "Drought in the Heart", una song dall'attitudine mortifera e disperata (almeno a livello vocale) che esalta le capacità tecniche di aW dietro le pelli e che gioca con un riffing in tremolo picking che ne enfatizza il mood decadente. A chiudere ecco gli ultimi nove minuti di "Heritage", una song più tradizionale dal punto di vista ritmico che conferma le qualità indiscusse di una band di cui sentiremo certo parlare in futuro. (Francesco Scarci)

(Czar of Bullets - 2017)
Voto: 75

https://cold-cell.bandcamp.com/

giovedì 2 novembre 2017

Arctos - A Spire Silent

#PER CHI AMA: Epic Black, Windir, Unanimated
È aria gelida quella che respiro nelle note iniziali di 'A Spire Silent', opera prima (un EP in realtà) dei canadesi Arctos (band che raccoglie membri ed ex componenti dei Trollband). Sebbene siano dolci tocchi di pianoforte quelli che risuonano nell'etere, essi mostrano una connotazione assai malinconica che non prelude a nulla di buono. E infatti, dopo poco meno di un paio di minuti, l'opener " Dawn... Sons of Death" dischiude tutta la sua furia in un black serratissimo di stampo cascadiano che ahimè non sembra mostrare una produzione del tutto cristallina. Le ritmiche sono decisamente forsennate e ad uscirne penalizzato sembrerebbe proprio il suono della batteria, sulla quale s'innesta il rifferama nordico in tremolo picking del duo di asce (dal vago sapore a la Unanimated), lo screaming abrasivo del cantante Dan e dei synth che popolano nelle retrovie l'intero lavoro. La proposta sonora del quintetto di Edmonton sembra trovare giusto un attimo di tregua con un'altra intro pianistico, quella che introduce un altro funambolico pezzo, "Altar of Nihil", che individua nella musica classica le maggiori influenze musicali dei nostri, cosi come in un passato decisamente folkish per la maggior parte dei membri della band. La song si muove nella parte centrale verso sonorità più votate a suoni epico-bucolici che ammorbidiscono, per certi versi, l'irruenza dell'ensemble dello stato di Alberta. La musica strizza l'occhiolino anche ai Windir, prima di orientarsi verso territori decisamente più sinfonici che evidenziano una certa ecletticità di fondo della compagine canadese che si abbandona alla classica chiusura di brano affidata a suoni nostalgici e temporaleschi che introducono alla title track. Molto meglio il lavoro qui alla batteria, anche se a tratti risulta un po' troppo ovattata nei suoni. Il drumming guerriero viene accompagnato in questo frangente da una bella linea di chitarra (fantastico a tal proposito l'assolo conclusivo) responsabile nel costruire un mid-tempo che sembra anticipare musicalmente quanto l'ultima bonus track ha da raccontarci degli Arctos. Il finale è infatti affidato alla cover degli Amon Amarth, "As Long As The Raven Flies", estratta dallo splendido 'The Crusher', l'ultimo arrembante attacco dei cinque musicisti nord americani, di cui però avrei anche fatto a meno per gustarmi un pezzo in più dei nostri. In conclusione, 'A Spire Silent' è un buon biglietto da visita per gli Arctos: con i giusti accorgimenti, soprattutto a livello di suoni di batteria, la band si e ci potrebbe regalare ottime soddisfazioni. (Francesco Scarci)

Barathrum - Fanatiko

#FOR FANS OF: Black, Behexen, Azaghal
Barathrum are back from the dead. Well, I do not know whether this is really good news, because some of their older albums were as interesting as a glass of sour milk. But let's focus on the comeback work whose opener discovers a noisy and roughshod production. Barathrum are not afraid of celebrating an apocalyptic feast. This does not mean that they wallow in an orgy of high velocity, but their sometimes occurring affinity for doom metal also does not prevail. In other words, Barathrum do not explore the extremes in terms of speed. But believe me, dear guest in the pit of the damned, they are extreme, at least the guy at the microphone. His animalistic and extrovert performance expresses torture, insanity and misanthropy at the same time. The strange kind of human octopus (admittedly, two arms are missing) that ornaments the cover illustrates the murderous approach of the lead vocalist pretty good. His performance is rounded off by an overdose of reverb. Patients with a weak heart are not allowed to listen to this devil who is supported by likewise mind-boggling background vocals.

Sometimes Barathrum appear as the melting pot of extreme Finnish metal. The insanity of Impaled Nazarene meets Behexen's nightmarish violence and both fall in love with the inhuman negativity of Azaghal. In addition, some boozy moments remind me of black thrash hordes like Urn. This does not mean that Barathrum are the kings of ultra-harsh metal from the land of the thousand lakes. One cannot say that each and every track hits the nail on the head. Tunes such as "Sadistic Pleasure" leave room for optimization. But the album grows with every new round and the overall impression is sometimes atmospheric (listen to the bell in "Spirit of the Damned" or enjoy the expressive guitar work at the beginning of the partially viscous "On the Dark River Bank"), mostly intense and always impressive. I don't think that this album will leave you cold, because it belongs to the love-it-or-hate-it outputs. And to manage the art of polarization is anything else but bad in terms of publicity.

Of course, the lyrical content defies description. Barathrum proclaim the "massacre of believers" and sing about "their own excrements mixed with their own blood", because "pleasures of the violence create orgasm". I admit that this is a new finding for well-educated fools like me. Furthermore, song titles such as "Pope Corpse Tattoo" speak for themselves. But come on, that's part of the business and even after 35 years of listening to extreme sounds, I cannot say that this kind of lyrics has any influence on my mentality. The music is what really counts. "Church of Amok" for example, shreds my nerves adamantly; the apocalypse breaks loose and I like it. Okay, the infernal doomsday scenario does not constitute a unique selling point of this track, but the concise guitar work with its simple and accessible line ensures that the track stands out. Nevertheless, "Fanatiko" works more or less as a whole, the album delivers a better overall picture than the sum of its parts. Honestly speaking, I am not quite sure whether this is the work of living humans. Anyway, it doesn't matter. Although I don't know the exact form of their existence, one thing is for sure. Barathrum are back from the dead. (Felix 1666)

(Saturnal Records - 2017)
Score: 75

mercoledì 1 novembre 2017

Petrolio – Di Cosa si Nasce

#PER CHI AMA: Experimental Ambient/Drone/Electro Noise
Enrico Cerrato è un musicista navigato che ha solcato i mari istrionici del metal (con gli Infection Code), del jazz/noise/punk (con i Moksa), dell'industrial (con i Gabbiainferno) e qui, nel suo progetto solista, si mette a servizio dell'elettronica per confrontarsi con la drone music più gelida e l'industrial più oltranzista, fatto di rumore sospeso, macchine robotiche e ritmiche glaciali, monotone e minimali. L'umore è nero come il nome con cui si fa conoscere e le composizioni sono agghiaccianti, cariche di solitudine, con una forma di shoegaze ipnotico e lacerato, dissonante e distorto, ottimo per descrivere il vuoto interiore. Suoni ve ne sono, sparsi qua e là, accordi decadenti e feedback condividono lo stesso piano di ricerca di confine col noise, scariche di batteria sintetica vengono tolte al mondo dell'elettronica per giocare con il metal o almeno con un'attitudine percepita dall'oltretomba, come se i Godflesh usassero i synth al posto delle chitarre. Un corpo estraneo da assimilare lentamente che penetra nelle nostre orecchie per far riflettere, per fare male, con quel suo rumore ammaliante, sottoscritto dai guru Dio)))Drone, Taxi Driver Records, Vollmer Industries, Toten Schwan Records, È Un Brutto Posto Dove Vivere, Dreamingorilla, Screamore e Brigante Records. L' album ha tutte le carte in regola per piacere agli estimatori dei vari generi ambient, industrial e drone estremo e sperimentale. Questo primo album, 'Di Cosa si Nasce', uscito a primavera del 2017, non apporta geniali riforme al genere ma è coniato con ispirazione e gusto da un musicista italiano che conosce molto bene i territori musicali che vuole esplorare e con cui vuole confrontarsi, ottenendo sempre ottimi risultati sonori. Una sorta di buia colonna sonora per una passeggiata in una città abbandonata. Da ascoltare. (Bob Stoner)

(Dio)))Drone, Toten Schwan Rec., Taxi Driver Rec., Vollmer Industries, DreaminGorilla, Screamore, È un brutto posto dove vivere, Brigante Rec., Edison Box - 2017)
Voto: 75

https://diodrone.bandcamp.com/album/di-cosa-si-nasce

martedì 31 ottobre 2017

Sepultura - Machine Messiah

#PER CHI AMA: Thrash Death
Udite udite, ma soprattutto cominciate a preoccuparvi. Il ritorno del messia è imminente. Altro che Gesù Cristo. Questo qua è uno spietato dio meccanico visibilmente incazzato (cfr. le speculari "Machine Messiah" e "Cyber God" che incorniciano l'album). Sentite la carne mutare in metallo (il singolo "Phantom Self")? Percepite quel senso di impotenza mentale che vi impedisce di fronteggiare la svilente massificazione dell'umanità ("Alethea")? Voi siete voi, giudafinocchio ("I Am the Enemy") e la vostra sofferenza ("Resistant Parasites") sfocerà presto in rabbia e ribellione ("Sworn Oath"). Se non vi sorprende questo sorprendente cyber-concept disto(pi)cazzo, allora affidatevi ai suoni. La inaspettatamente rarefatta "Machine Messiah" in apertura introduce e mistifica: nei suoni operosi orditi dal volonteroso Andreas Kisser distinguerete poi chiari elementi speed-thrash old-school (alla Slayer, ecco), almeno in "I Am the Enemy" e "Vandals Nest", alternati a quel brutale death-bloody-death ("Silent Violence", "Resistant Parasites", "Alathea") che i Sepultura insegnarono al mondo intero nei primi anni '90. In almeno un paio di occasioni si eccede per zelo: il mélange samba + death-metal + violino-maghrebino di "Phantom Self" è davvero troppo, dal momento che né voi né io né men che meno i Sepultura siamo Claude Challe; più interessante il death-flamenco espresso dallo strumentale "Iceberg Dances", in cui rileverete un lavoro di chitarra di assoluto pregio. Ascoltate questo album in digitale domandandovi per quale diavolo di ragione un disco di quarantasei minuti debba essere spalmato forzosamente su ben due vinili. Nelle bonus track una punk-ruffiana versione della sigla del cartoon giapponese "Ultraseven" che suona un po' come suonerebbe "Azzurro" cantata dai Toten Hosen. È per questo che ci estingueremo. Altro che messia meccanico dei miei stivali imbrattati. (Alberto Calorosi)

(Nuclear Blast - 2017)
Voto: 80

https://sepultura.com/

Frank Sinutre – The Boy Who Believed He Could Fly

#PER CHI AMA: Funk Electro Dance, Offlaga Disco Pax, Brian Eno
I Frank Sinutre sono una vecchia conoscenza del panorama italiano che da tempo solca l'alternativa musicale del bel paese. Tornano nel 2017 con un album nuovo (il terzo), 'The Boy Who Believed He Could Fly', ed una proposta fresca e ben fatta. Siamo nei paraggi della musica sintetica, elettronica e che strizza l'occhiolino alla elettro/dance senza vergogna (vedi il funk plastificato di "Sunset with Sunrise") e cerca sempre lo spiraglio per riuscire a creare un pop che per certi aspetti si dica intellettuale. Tra vocoder alla Daft Punk, atmosfere sospese alla Air ed il gusto da classifica dei Subsonica, i Frank Sinutre provano la via del pop di classe a 360°, contornato da atmosfere soffici e suadenti, come nel brano "Credeva di Volare", particolare e giustamente critico nei confronti del vivere sempre più limitato imposto dalla società attuale, unico brano cantato peraltro in lingua madre da Cranch (in veste di ospite) che si ricollega per incanto al Tricarico più tagliente. La forza comunque del disco va ricercata anche in una cura maniacale dei suoni, un'ottima produzione, un gusto per il digitale esasperato che ricollega il duo Pavanelli/Menghinez alla migliore tradizione dance internazionale alternativa, alla lounge music riflessiva e d'ambiente. Undici brani creativi in un universo musicale che offre mille sbocchi sonori, in un mondo, quello del digitale che permette di arrivare ovunque (leggasi anche Ultimae Records). Ottima è la rivisitazione finale in versione minimal/ambient strumentale di "Credeva di Volare", con una splendida vena sperimentale, suoni rubati ai vecchi videogame dal bar di paese di una volta, ritmica ridotta all'osso e ambienti sonori astratti, dal lontano e futurista sentore etnico. Un disco gradevole, moderato che non carica né banalizza troppo il suono, anche se i sedici minuti del brano conclusivo, meritano una riflessione sulla vera natura e sulla via perseguibile dalla band in futuro. (Bob Stoner)

lunedì 30 ottobre 2017

Mason - Impervious

#FOR FANS OF: Thrash/Groove Metal, Testament
Mason from Melbourne, Australia is exactly what I would describe as modern thrash. Through a mix of the expected big crunchy guitars, ripping riffs reminiscent of major thrash mainstays, and embracing more of the modern groove style popularized by the 2000s American metalcore scene, this band absolutely captures the energy and ethos of thrash metal while balancing its aggressive and nuanced approaches that give headbangers plenty to think about while wrecking their necks.

Playing to a chorus reminiscent of Testament's “Over the Wall”, the opening riff of “Burn” starts you off on the short fuse of the '80s thrash and dash style before giving way to a long series of solos in its second progression. This movement from restless tearing guitars into a lumbering metal behemoth's groove shows a versatility that harnesses the texture of its more modernized approach while still shredding into the meat of oldschool thrash metal malice as it wraps you in the harmonic helix created by noodly classical notes.

This album shows a sophisticated evolution of its thrash elements into metalcore and groove movements throughout complementary songs that, without compromising intensity, push past the primitive plateaus found in the seminal works of one of heavy metal's most aggressive and vibrant eras. The album cover expands on the content's vivid and lively sound with a blend of impressive colors washing a swath of impressionism across the canvas as the muted mixture captures a moment of a hulking beast of burden bearing severed heads, sloshing skull-fulls water along a dangerous path. Like the band plays on the knife's edge between the modern metal style and the classic thrash conventions, the horse is spurred on by youth towards the brink of brutality before bucking back against that notion lest it lose its direction.

Throughout 'Impervious' there is a lot of rolling from a very robust drum kit that accentuates energetic guitars swirling spirals of chaos, loosening up a neck to spin throughout “Tears of Tragedy” as treble rises into the most utterly glorious soloing section in these thirty-six minutes. “Cross this Path” takes the role of your traditional '80s style thrash offering with the saw of guitars swinging across the top of the rhythms before expanding into an almost Gothenberg scope of harmonies with the fun energy of All That Remains engulfing the listener in a twist of treble that is as beautiful as its extending tendrils are deadly. Alongside the aggression of the blasting opening to “The Afterlife”, and the Skeletonwitch sort of anthemic sound with a Slayer vocal delivery to “Sacrificed”, these songs create a quality core composite of strong b-side singles while the title track takes center stage. Running around its melodic main riff well through its chorus, this title track experiments with a more mobile groove and a 21st Century American metalcore sound that has me thinking of a more mechanical and harder hitting The Autumn Offering. Bits of All that Remains in the song with that metalcore style of anthemic and harmoniously uplifting tenacity reach out to caress your inner headbanger and show a strong spirited songwriting strength as Mason hammers home its prestige piece.

Throughout 'Impervious' is a consistently quality delivery that shows the aptitude of this modern thrash troupe in fashioning a sturdy bridge between the old and the new, between headbanging aggression and gorgeous soloing, and between crunchy groove and compelling metalcore. Mason is truly a force to be reckoned with as it keeps the fires of thrash alive with bellows from the bowls of hell. (Five_Nails)

domenica 29 ottobre 2017

The Pit Tips

Francesco Scarci

Cradle of Filth - Cryptoriana
Septicflesh - Codex Omega
Wintersun - The Forest Seasons

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Michele Montanari

Ufomammut - 8
Planet of the 8s - S/t
Spaceslug - Mountains & Reminiscence

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Five_Nails

Enslaved - E
Mason - Impervious
Sagittarius - Fragmente III: Fassungen

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Alberto Calorosi

Swans - Children of God
Neil Young - Hitch Hiker 

Styx - The Mission

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Felix Sale

Pathogen - Ashes of Eternity 
Incantation - Profane Nexus 
Immolation - Atonement 

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Matteo Baldi

Pink Floyd - Meddle
Porcupine Tree - Fear of a Blank Planet

Melvins - Stoner Witch

One Life All-In - The A7 Session

#PER CHI AMA: Punk/Hardcore
Sono solo sedici i minuti a disposizione della band franco-americana One Life All-In per convincerci della bontà della loro proposta musicale. Formatisi da membri che hanno avuto esperienze più o meno importanti nella scena musicale, i quattro musicisti ci propinano sette song che strizzano l'occhiolino da una parte all'hardcore, dall'altra ad un punk rock d'annata. Dicevo sette tracce, brevi, essenziali, divertenti che convogliano le influenze di cui sopra, in modo moderno: devastanti e tremendamente old fashion i settantasei secondi di "Don't Give Up", più misurata e ruffiana nell'approccio "All-in", che tuttavia in due minuti e mezzo di musica, riesce a cambiare più volte abito e sfoggiare peraltro un bell'assolo conclusivo. "Won't Die With Regrets" sembra puzzare inizialmente di semi-ballad, ma poi tra chorus incazzati e ritmiche cariche di groove, mi convince appieno. Violentissima la ritmica iniziale di "Beats the Daylights Outta Me", un brano che poi tende ad ammorbidirsi, complici le melodie accattivanti e quei cori che sovrappopolano l'EP. Alla fine, 'The A7 Session' è un più che discreto lavoro di musica energizzante, che può contribuire a liberarvi la mente per un quarto d'ora di sonorità fresche, incazzate e assai melodiche. Let's move our bodies... (Francesco Scarci)

Corpus Diavolis - Atra Lumen

#FOR FANS OF: Black/Death
'Atra Lumen' is the third full-length studio record of the French black/death metal horde Corpus Diavolis. To those of you who haven't heard of the band yet, they have been offering one of the most veiled and dismal extreme music materials in the French underground for nine odious years. But unlike most of the bands playing in the genre of hybridized black and death metal, Corpus Diavolis renders a more catastrophic mixture of black metal and death metal elements; complemented with some heavy amount of ponderous doom segments.

This is actually my first time listening to a whole album produced by the band. I wasn't really aware of their existence until my mate Franz, of The Pit of the Damned, introduced me to them by giving me a copy of the band's third studio offering. The moment I got access to the band's material, I immediately got hooked on their brand of obscure doom-laden black/death metal music.

First thing that one can notice about this album is the dusky and extremely foul ambiance that each song provides. The vibe that the eight tracks carry yields a very heavy feel into the overall output of the album. Both the slow-paced and mid-paced sections of album were impeccably executed by Corpus Diavolis. There are even a number of fast paced moments in the album, where the band has shown quite some skill when they've put their focus on it.

The down-tuned guitars assemble grotesque riffs that flow through the forty-four minute run of the record. These riffs strike hard, and it's as if they shake the earth with such abominable force as to open the gates of hell and sink the whole humanity to dust. But even with its low-tuned pitch, both guitars were still able to deliver some clear death and black metal fragments in the mix.

The drum work in the album might not be the most complex or esoteric drumming that you'll hear in the extreme metal genre, but it bears a dense and igniting zest that will certainly take its audiences to a chest-pumping and headbanging barrage. Plus, the drum blast beats don't stay stagnant the whole time, but show a great variety of form by the drummer, bringing a more varied approach in the whole offering.

Another upside about this release is the ancestral black metal harsh screeches and ritualistic temperament on the vocal part. I love it when a band's front man does not overdo his role in that area. The more straightforward it is, the more it gives a fitting outcome. Production wise, the record also does not fall short in that category. Everything in here was mixed well, and it highlighted every aspect that the band wanted to in the release.

I also find the record's album cover very fascinating. It might not be as radiant or evil as the other art covers in the extreme music realm, but it put on to view the utmost darkness and anguish that one should expect in a material put out by Corpus Diavolis. Well, after all, it does not take an expert on arts to recognize an exquisite handwork.

To cut this review short, 'Atra Lumen' is an opus packed with utter darkness and black art influence. This is worth the money to purchase, and it's one of the finest offerings under the black/death metal genre that I have listened to in a while. (Felix Sale)

Tracker - Rule Of Three

#PER CHI AMA: Alternative/Stoner
Alla prima occhiata, il cartonato del combo di Innsbruck rasenta l'anonimato, con la classica confezione a due ante con libretto sotto la prima di copertina, ed immagini di luoghi post industriali cementificati che si perdono al suo interno, sebbene quello sullo sfondo assomigli al Monte Bromo. Formatisi nel 2005, i Tracker hanno raccolto in questo album, 'Rule of Three', un insieme di rock, desert, psichedelia, stoner e trance. Ho dovuto ascoltarlo circa sei volte per rendermi conto di tutto quello che c'era dentro; sicuramente tanta, ma tanta roba raccolta in anni di prove a gettare riff e bridge al vento. Quello che ne è rimasto è però favoloso. Sull'album figurano solo tre compositori, Martin, Max e Daniel, polistrumentisti, tutti cantanti e "giocatori" col synth. Dietro a quest'album però c'è una vasta schiera di musicisti, improvvisatori e cantastorie elettronici. Gli stati d'animo all'interno del disco mutano radicalmente, in un viaggio in macchina solitario che fa cambiare orizzonte ad ogni canzone. Sembra che le apocalissi e le ere geologiche passino e loro rimangono li solo a narrare senza aggiungere nulla di più. Le canzoni che mi hanno colpito di più sono "Veins Out" con i suoi urlati disperati, passando poi a "I Work at the Fuzz Factory" che sembra una caricatura dei Fu Manchu e ad un brano post-rock/country come "Peccadillo", che sembrano non far parte di quest'album, ma che ci stanno bene lo stesso. Una cara persona mi ha lasciato una frase che porto sempre dentro di me quando lavoro, suono, esercito in generale una passione: "impara tutto, dimentica tutto e fai come ti pare". Questa frase rappresenta pienamente i Tracker, un gruppo che ha una maturità da vendere mutuata dall'esperienza dei singoli, che sicuramente devono aver fatto una gavetta serrata, la pratica li ha resi quasi perfetti, ma sono le loro idee astratte ad averli portati oltre. Un disco da ascoltare e da portare con sé soprattutto nei momenti più intimistici.(Zekimmortal)

(Noise Appeal Records - 2017)
Voto: 85

https://www.facebook.com/trackerband/

venerdì 27 ottobre 2017

Wolf Counsel - Age Of Madness / Reign Of Chaos

#PER CHI AMA: Doom, primi Cathedral
Pronti ad immergervi in soffuse atmosfere sludge doom con gli svizzeri Wolf Counsel? Freschi di uscita con questo terzo album, 'Age Of Madness/Reign Of Chaos', la band di Zurigo torna con un nuovo intrigante lavoro, forti sempre del supporto della Czar of Bullets alle spalle. Sette brani, per una quarantina di minuti a disposizione, per abbandonarsi ad un sound che ci riporta ai vecchi classici del genere, Black Sabbath in testa, senza però scordarsi i più recenti, si fa per dire, Cathedral. I Wolf Counsel non sono certo dei pivelli e lo dimostrano le architetture sonore innalzate ad esempio nella lunghissima, funerea ed ipnotica title track, song che delinea l'animo nero come la pece del quartetto elvetico, di cui mi preme sottolineare la performance vocale del bravo Ralf Winzer Garcia e dello splendido assolo conclusivo (di chitarra, basso e poi batteria), che sottolinea la vena musicale dell'ensemble votata agli anni '70/80, da brividi e palma come mia song preferita. In "O' Death" compare la voce di una gentil donzella, Daniela Venegas, con una timbrica vocale che si avvicina a quella di Anneke van Giersbergen, ex dei The Gathering, che duettando con Ralf, ci regala quattro minuti di musica vibrante, emozionale che prende un po' le distante dalle altre tracce. Esperimento decisamente riuscito. Si torna ad un riffing più compassato con "Eternal Solitude", in cui la voce del buon Ralf, sembra il perfetto ibrido tra Ozzy e Lee Dorrian. L'ultima curiosità per l'album è relativa al testo di “Coffin Nails”, una sorta di campagna antifumo che sottolinea come i nostri siano anche attivi da un punto di vista sociale. Insomma, 'Age Of Madness/Reign Of Chaos' conferma l'ottima verve musicale di questi ragazzi zurighesi e l'oculata attenzione di un'etichetta, la Czar of Crickets e consociate, che sta crescendo giorno dopo giorno a vista d'occhio. (Francesco Scarci)

(Czar of Bullets - 2017)
Voto: 75

https://www.facebook.com/thewolfcounsel

giovedì 26 ottobre 2017

Cepheide - Saudade

#PER CHI AMA: Black Depressive
Seconda comparsata dei francesi Cepheide all'interno del Pozzo dei Dannati: era il 2014 infatti quando recensii il demo 'De Silence et De Suie', che ci mostrava come i nostri armeggiavano abbastanza bene un black atmosferico dal forte piglio depressive. A distanza di tre anni da quel lavoro e con un EP nel frattempo in mezzo, ecco finalmente giungere l'agognato album d'esordio per il quartetto parigino, intitolato 'Saudade'. Sapete bene come questo termine in portoghese indichi una forma di malinconia, una specie di ricordo nostalgico, di un bene speciale che è ora assente, accompagnato da un desiderio di riviverlo o ripossederlo. Potrete pertanto immaginare come quest'emozione si rifletta di conseguenza nel sound dei nostri, in una proposta musicale che non si discosta di un millimetro da quel cd di cui vi ho già raccontato. Cinque tracce che si lanciano alla ricerca dello spleen, la tristezza meditativa che venne resa famosa durante il decadentismo dal poeta francese Charles Baudelaire, e che era stato utilizzato anche anteriormente nel Romanticismo. Ora, i Cepheide mettono in musica tutto questo senso di disagio esistenziale già dalle note della lunga "Une Nuit qui te Mange", dieci minuti di black melodico intriso di un potente mood nostalgico che si palesa attraverso epiche cavalcate e sconfinate atmosfere strazianti, corroborate dallo screaming nefasto del frontman Gaetan, mente peraltro anche degli Scaphandre. Lo stato di cupa angoscia e depressione presente, prende ancor più forma nell'infinita desolazione di "Madone", la seconda traccia, che si lancia in furibonde accelerazioni black, e in cui la voce del vocalist risulta più confinata in secondo piano. Anche a livello lirico non siamo di fronte a testi cosi allegri e il titolo della terza "La Lutte et l'Harmonie", credo lo dimostri ampiamente. La miscela sonora della band transalpina prosegue con la stessa formula musicale, un blackgaze stemperato da rallentamenti atmosferici e da quel pesante senso di malinconia che avvolge in modo persistente l'intero album ma che fondamentalmente attenua un sound che forse ai più risulterebbe caustico nelle sue taglienti chitarre, nei suoi cambi di tempo e in quelle sgroppate dal forte sapore post black. La quarta tiratissima song è "Le Cinquième Soleil", che per atmosfere mi ha rievocato un che dei Burzum di 'Hvis Lyset Tar Oss', anche se qui le voci belluine trovano il modo di cedere il passo ad un cantato più corale. 'Saudade' alla fine è un disco abbastanza convincente, come testimoniato anche dall'ultima "Auréole" (song che si mette in luce peraltro per una migliore stratificazione delle chitarre), che tuttavia necessita ancora di qualche aggiustamento per consentire alla band francese di emergere dalla massa informe di band che inflazionano il panorama black internazionale. (Francesco Scarci)